Intervento sul Reddito di Cittadinanza e Quota 100

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Signor Presidente e signori del Governo, cari colleghe e colleghi, noi esprimeremo un voto di astensione sul provvedimento, sul decreto che l’Aula si accinge a votare.

Questo nostro giudizio nasce da due giudizi di per sé divergenti. Da una parte, noi consideriamo giusto, corretto prendersi cura di coloro che in questi anni sono rimasti indietro nel Paese. Tutti gli indicatori ci dicono ormai con chiarezza che l’area della povertà, soprattutto dopo la crisi del 2008 e fino ai giorni nostri, si è estesa in maniera tale da portare una parte del Paese a vivere in condizioni non accettabili; e, in secondo luogo, riteniamo anche corretto rendere meno rigida quella che si chiama riforma Fornero, perché da questo punto di vista, fermo restando che fu approvata in un momento particolarmente delicato per la vita del Paese sul quale io vorrei che si portasse tutti un po’ più di attenzione e di responsabilità, non c’è dubbio che la riforma Fornero, a differenza di tutte le riforme previdenziali fatte in precedenza in Italia, a partire da quelle degli anni Novanta, non ha tenuto conto di due sostanziali questioni: la gradualità e l’equità.

Quando noi prevedemmo ai primi anni Novanta l’aumento dell’età pensionabile, lo facemmo con gradualità: non passavi da un giorno all’altro a 2-3-4 anni in più di lavoro com’è capitato con la riforma Fornero. E insieme facemmo equità, perché io ricordo che c’erano casse previdenziali in cui i rendimenti tra lavoratori erano così diversi che quello che valeva 1 per alcuni valeva 2 e mezzo per altri, e se potevi ancora andare in pensione nel pubblico con 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno, per altri dovevi aspettare 35 anni e anche di più. Quindi occuparsi di queste due questioni sociali è un fatto di per sé importante.

Cos’è che non va di questo provvedimento? Sostanzialmente tre cose. La prima, come si finanzia questo provvedimento. Qui parliamo di miliardi e miliardi: in un triennio è una cifra che si avvicina ai 30 miliardi di euro, una cifra enorme stante la situazione del bilancio pubblico italiano. Come l’hai finanziata questa cifra? In disavanzo. È corretto finanziare in disavanzo un aumento della spesa corrente? Io dico di no, e la storia ci dice di no, perché quello che devi finanziare col disavanzo è la spesa per investimenti, che è l’unica spesa a breve tempo in condizione di far riprendere la domanda, la crescita, lo sviluppo e l’occupazione. L’errore della manovra di bilancio della fine dell’anno scorso fu esattamente questo.

Quando leggo che il Ministro Tria sta preparando un provvedimento straordinario per accelerare gli investimenti in piccole e grandi opere, perché solo in questo modo si può rilanciare la crescita, non riesco a capire perché quello che cerca di fare oggi non l’ha fatto con la manovra di bilancio di sei mesi fa, quando tutti i segni del rallentamento economico erano presenti. Noi lo dicemmo in quest’aula al Governo: state sbagliando, noi andiamo verso la crescita zero, in Europa si riduce e in Italia si azzera; se non fai adesso una politica anticiclica, e la puoi fare solo con la leva degli investimenti, soprattutto quelli di piccola dimensione in grado di attivare subito occupazione e lavoro (penso a quelli sull’ambiente, sul territorio, sulla sicurezza delle case, delle scuole, degli edifici pubblici), se non lo fai quando ne hai bisogno poi rischi di farla dopo quando le cose peggiorano. Esattamente quello che è successo!

Poi abbiamo due obiezioni di merito su come gli strumenti sono espressi. Sulla lotta alla povertà, c’è qualcuno che mi spiega perché non si è presa la misura che c’era già alla fine della passata legislatura, il reddito di inserimento, e non si è lavorato su quella? Perché ogni Governo deve ricominciare da capo sul terreno della lotta alla povertà? Una logica di buonsenso prevedeva che tu prendevi quello strumento, ci mettevi più soldi, lo correggevi nelle parti dove aveva dimostrato di non essere efficace e lo rendevi subito operativo; e poi sull’avviamento al lavoro dovevi utilizzare un altro strumento, perché tenere assieme l’avviamento al lavoro e il sostegno alla povertà diventa un’impresa, come vedrete, come vedremo, particolarmente complessa. Si è voluto fare altrimenti.

A me non sfugge che dare centinaia di euro ad una famiglia bisognosa è un fatto che la gente si aspetta, è un fatto che segna un tratto di civiltà del nostro Paese; ma quando vedo poi come si sono modulate queste scelte e questa ambizione di tenere assieme, di aiutare chi ha bisogno di avere e l’avviamento al lavoro dei giovani e dei meno giovani, capisco che qui non ci troviamo, e tante attese che questa misura suscita andranno naturalmente disattese.

Poi ci sono delle perle. I 10 anni di residenza per coloro che vengono da Paesi extracomunitari, che cos’è? Che segno è? Perché non si è andati a 5 anni, come una parte del welfare locale per gli extracomunitari già oggi funziona? Perché 10 anni? È un segno ideologico o è un segno che tratta della condizione di queste persone? E che, la povertà riguarda solo alcuni e non altri? L’idea della povertà qual è? Che ci sono poveri e poveri? Quando si parla di povertà si parla di estremo bisogno, si parla di necessità di avere: uno Stato degno di questo nome deve saperla affrontare allo stesso modo; deve avere delle cautele, capisco, ma discriminare sul terreno della povertà fa togliere quel segno di distinzione che una misura a sostegno della povertà prevede.

E ancora, ci sono altri due perle, queste capisco più complicate da spiegare. Ma se tu fai della famiglia il fulcro della politica di assistenza, e poi fai della scelta individuale la scelta del rapporto con l’avviamento al lavoro, come tieni assieme i due fattori? Noi l’abbiamo visto con una serie di emendamenti. Ma vi rendete conto che se una madre o un padre si devono dimettere perché il figlio è inabile, disabile, invalido e ha bisogno di assistenza, questa scelta individuale preclude il reddito di cittadinanza a tutta la famiglia? C’è cioè un dilemma etico! E la stessa cosa, i soldi si possono spendere in contanti, no, con la carta, si possono spendere in questo e non in quello: ma non prefigura un’idea di Stato etico? Ma che rispetto c’è delle scelte individuali delle persone? Quindi dilemma tra famiglia e individuo, Stato etico nella scelta di come utilizzare questi soldi, più tutto un armamentario semipoliziesco di controllo delle truffe: c’è qualcosa che non mi torna, in una politica che vuole essere di ampio respiro e di rispetto nei confronti della povertà.

E anche su “quota 100”, ripeto una cosa che ho detto in tante occasioni e in tanti modi. Ho già detto che bisognava intervenire sulla riforma Fornero per via di questa troppa rigidità, perché come si dice sempre, non puoi fare norme uguali per diseguali, non è che un edile di 65 anni è come uno che sta ad una scrivania per trenta o quarant’anni, sono due condizioni diverse; la legge cosiddetta Fornero le tratta allo stesso modo, sbagliando. Ma dovevi intervenire così, con questo criterio di valori! Tu potevi scegliere o di sostenere i precoci, come facemmo all’inizio degli anni Novanta, o di sostenere coloro che hanno pochi contributi perché fanno lavori discontinui e poveri, e hanno oggi secondo me maggiore valore per essere affrontati. Ma quando noi facemmo i precoci negli anni Novanta, chi aiutavamo? Quelli che a 15 anni erano andati negli anni Cinquanta e Sessanta a lavorare in quelle fabbriche: quelle fabbriche, il terrorismo, quell’organizzazione del lavoro, quei ritmi, le notti, l’ambiente rendevano una persona a 55 anni una persona che non ce la faceva più, nel fisico e nella mente. E allora tu proteggevi con questa scelta di valore queste persone! Ma oggi cosa mi rappresenta “quota 100”? E perché “quota 100” fatta in questo modo? È arbitrario, è una convenzione; ma era questa la priorità?

E nel pubblico lo sapete che se non si accelerano le assunzioni noi siamo già oggi in condizioni difficilissime? Io l’avevo già visto, già sentito, il direttore sanitario dell’ospedale di Rovigo dire: noi utilizzeremo i pensionati; e voi a spiegarmi: no, non si possono utilizzare i pensionati. Com’è che oggi il Molise, la regione Molise ci spiega che, non avendo più medici, è costretta a ricorrere ai pensionati medici? Vi rendete conto che se i tempi non collimano tra chi esce e chi viene assunto, quelli che ci perdono sono i cittadini? Queste sono le cose che non vanno, e di questo bisognerebbe occuparsi.

Queste sono le critiche che avanziamo. Ed in ragione di questo, tra il fatto di operare una scelta che parla ad un pezzo di Paese che va visto con grande rispetto, ma il fatto che viene finanziata con una scelta di politica economica sbagliata e di bilancio sbagliata, e contemporaneamente si è in condizione non di affrontare correttamente le due questioni, che il nostro voto di astensione ci pare in tutta coscienza quel voto che è in grado di, da una parte, rispettare tutto quello che si fa verso chi ha bisogno o verso chi non ce la fa più, e dall’altra però anche di dire che un’altra strada era ed è possibile.