Sarà difficile ma da questa crisi si può uscire

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Intervista di Oreste Pivetta – l’Unità

Guglielmo Epifani, segretario del Pd, fino a tre anni fa segretario generale della Cgil, mettiamo in fila le ultime notizie che riguardano economia, lavoro, condizioni materiali di vita: disoccupazione record, sempre più giovani a casa, persino i bancari in sciopero, Air France che svaluta la sua quota in Alitalia e che fra un po` se la potrebbe prendere gratis, cortei e proteste dei senza casa a Roma, con assurde violenze in mezzo… Si potrebbero aggiungere altri «titoli»: Alcoa, Electrolux, magari Fiat… La sensazione è di un Paese in disarmo… 

«Il Paese stenta a reagire. Un Paese che dovrebbe maturare invece coesione, moralità, coraggio, che dovrebbe sentire il bisogno di uno scatto d`orgoglio, sapendo che nessuno da fuori aiuterà. Tuttavia dobbiamo essere fiduciosi, perché sarà difficile, ma da questa crisi si può uscire, garantendo intanto la sopravvivenza di questo governo, che dovrebbe introdurre però elementi di forte novità, nella sua politica. Non ci si può accontentare di sopravvivere mantenendo la linea di galleggiamento. Galleggiare non aiuta».

 

Pensa comunque ad un`esistenza non proprio breve dell`esecutivo Letta? 

 

«Lo vedremo nei prossimi giorni. Vedremo quanto il Pdl vorrà far pesare sugli equilibri politici il voto sulla decadenza di Berlusconi. È certo che non si può continuare in uno stato di fibrillazione, in una situazione di perenne ricatto».

 

Intanto però il quadro sembra tingersi sempre più di nero… 

 

«Non c`è nulla di imprevisto. Si sapeva che il biennio 2013-2014 sarebbe stato dal punto di vista dell`occupazione il più duro. Il governo prevede una crescita del Pil l`anno prossimo dell`uno per cento. Speriamo, ma non ci credo. Comunque le conseguenze sull’occupazione saranno nulle, mentre maturano crisi industriali e cedimenti nel settore dei servizi».

 

Persino la Commissione europea valuta in centoventimila i posti che si perderanno in Italia l`anno prossimo.

 

«Ogni allarme è giustificato. D`altra parte ci lasciamo alle spalle sette anni di decrescita. Anche risalendo, quali mai potrebbero essere i riflessi positivi sull’occupazione? Negli ultimi sei anni l`occupazione è calata di quattro punti. Peggio per i giovani: uno su due resta disoccupato. Peccato che i processi e le condanne di Berlusconi orientino il dibattito pubblico e si debba tanto faticare a imporre il tema del lavoro, il tema del lavoro che manca».

 

Sulle nostre sofferenze pesano anche le politiche europee. 

 

«Certo, politiche europee chiuse, che hanno imposto limiti di bilancio, che hanno impedito investimenti, che hanno mortificato qualsiasi possibile slancio. Il governo ha compiuto scelte utili, ma ancor insufficienti. S’è puntato sugli sgravi fiscali per incentivare l`assunzione di giovani, ma i giovani neo assunti sono stati soltanto settemila. Le piccole e le grandi imprese non assumono, assumono un poco le medie imprese, più dinamiche, più rinnovate, che esportano ancora. Si assume un poco nei servizi, occupazione di scarsa qualità e di bassa retribuzione. Però si continua a ragionare di costo del lavoro e di flessibilità dell`offerta. Non si riparte così. La verità è che si dovrebbe tornare alla vecchia ma sempre efficace pratica dell`intervento pubblico. Per pura ipotesi, immaginiamo una sorta di servizio civile riservato ai giovani e indirizzato a concrete attività produttive: sarebbero centomila, centocinquantamila posti di lavoro, sarebbe più reddito per le famiglie, sarebbero più consumi. Contribuirebbero ad un nuovo dinamismo della società. Ma occorrono programmi. Occorre un cambio di prospettiva. Un Paese che non sa investire, non può ripartire. Non può superare una fase di stagnazione. È vero che l`inflazione cala. Ma cala, perché il reddito scende e i consumi si riducono. Non c`è rimedio, se non ci si scrolla di dosso una politica solo di contenimento».

 

Non ci aiuta neppure la salute dell`euro.

 

«Dovremmo anche riflettere sui danni di un continuo apprezzarsi dell`euro sul dollaro, sul rublo, sulla sterlina, su altre monete, là dove sono i nostri mercati d`esportazione. Il problema non si pone per la Germania, che vede le sue quote d`export prevalentemente in Europa e che così può accumulare risorse. Per questo bisogna riaprire una discussione su quale politica economica e quale solidarietà debbano imporsi tra i Paesi della zona euro. Senza eurobond per gli investimenti, con un euro così forte e con il fiscal compact, per Paesi come l`Italia la possibilità della crescita diventa molto difficile».

 

Ecco, per investire occorrono risorse. Dove le troviamo? Possiamo contare sulla cosiddetta spending review? 

 

«La rigidità della spesa è un problema nostro, ma lo è anche di tutte le economie. Si può rimediare? Un esempio: il decentramento sarà una bellissima cosa, ma ha moltiplicato proprio i centri di spesa. Bisogna decidersi: accorpare i Comuni più piccoli, superare queste Province, pensare a Regioni più grandi. Sì: penso che si debbano anche ridisegnare i confini di alcune Regioni. Con la riforma del sistema sanitario, che ha eliminato piccoli presidi, ha creato collaborazione, ha unito funzioni, i risultati sono stati positivi. Bisogna finalmente procedere. L`obiettivo deve essere un riforma profonda del sistema delle istituzioni».

 

Ieri a Roma si sono viste violenze tra le proteste dei senza casa. 

 

«Sono segnali preoccupanti. Nell’emergenza, la conflittualità sociale si inasprisce. Casa e affitti sono un dramma per molti, per chi soprattutto resta senza lavoro, gli enti locali non hanno forza economica sufficiente per intervenire. Però questo ci dice quali rischi corriamo, quale è la distanza tra gli argomenti di tanto dibattito politico e le necessità di questo Paese».

 

Che ha bisogno di stabilità. Ma anche forse di una chiarezza politica che solo le elezioni potrebbero dare…

 

«Intanto è questo governo che deve rispondere alle domande di oggi, imponendosi un cambiamento di rotta.
Ed è questo Paese che deve riscoprire ambizione, vicinanza, voglia di agire. Purtroppo restiamo sospesi, sul filo di corda, in attesa che si chiarisca il destino di Berlusconi e si chiariscano le scelte dentro il Pdl. Ed è una attesa con conseguenze ogni giorno più gravi».