Intervista rilasciata ad Alessandro Barbera su “La Stampa” del 9 settembre 2014.
Epifani, il Premier domenica è salito sul palco della Festa dell’Unità di Bologna e ha chiesto una gestione unitaria del Pd, Lei è stato l’ultimo leader, prima di Renzi, a tentare di tenere insieme tutte le anime del partito. E’ sorpreso?
Veniamo da uno straordinario risultato elettorale. Quando un partito raggiunge il 40% significa che sta rappresentando ceti e istanze diversi.
Quindi?
Quindi era inevitabile che accadesse. La vocazione maggioritaria, dopo averla conquistata, va gestita.
E come la si “gestisce” la vocazione maggioritaria?
Nella storia repubblicana c’è stato un solo partito che ha superato il 40% dei consensi, la Democrazia Cristiana.
Sta dicendo che il Pd deve diventare come la DC dei tempi d’oro?
No, ma un partito il quale raccoglie così tanti voti non può che essere un luogo plurale. Le conseguenze del discorso di Renzi sono almeno un paio. Uno: occorre riconoscere al Pd un ruolo di cerniera tra le scelte del governo e la funzione dei parlamentari. Due: se è una cerniera, bisogna riconoscergli un’autonomia che in questi mesi è stata sacrificata al lavoro del governo.
Sta dicendo che ultimamente la gestione del partito è stata quella di un sol uomo al comando. E’ così?
Siamo una fase della storia che prevale quel modello di partito. Ora al Pd, con quell’enorme serbatoio di consensi, tocca dimostrare di poter essere qualcosa di diverso.
Ipotizziamo che nella stessa segreteria convivano cuperliani, renziani, bersaniani. Non c’è il rischio di una deriva assemblearista che finirebbe per paralizzare il governo? O, peggio del prolifera di scelte dettate solo dal clientelarismo delle correnti?
No. Non mi pare che in questa fase manchino le decisioni. Manca una sede in cui discutere, ascoltare le posizioni di tutti, e dopo, ma solo dopo, decidere. Avere un partito plurale non è un orpello, semmai un’opportunità.
Proviamo con un caso concreto: la riforma del lavoro. Possibile che una segreteria plurale possa trovare una sintesi tra le posizioni di Damiano e quelle del premier?
Vedo il riemergere di un’offensiva ideologica che immaginavo superata: la discussione non può ridursi per l’ennesima volta al tentativo di togliere l’articolo 18. Questo è quel che intendo per partito capace di discutere.
Altrimenti la gestione si fa verticistica, il premier fa tutto da solo, il partito non esiste e in parlamento arrivano gli agguati. Dico bene?
Se il premier ha deciso di percorrere la strada di una gestione unitaria del partito è perché ha capito che è quella giusta.
Secondo lei cosa lo ha convinto?
Non è la prima volta che se ne parla. Renzi conosce le difficoltà che ha di fronte a sé il Paese. E poi, se ne ha parlato alla festa dell’Unità un motivo ci sarà, o no?
Che intende dire?
Le feste sono un termometro importante. A Bologna non ricordavo così tanta gente da decenni: vuole ascoltare, partecipare e Renzi lo ha capito.
Forse ha anche deciso di essere meno diffidente, come molti gli rimproverano? Da mesi si parla di un gruppo di persone che lo dovrebbero affiancare a Palazzo Chigi sui dossier importanti, e fra questi il vostro responsabile economia Taddei. Non sarebbe già questo un ruolo di “cerniera” con il partito?
La fase in cui ci troviamo e la complessità dei problemi che attendono Renzi lo spingeranno in quella direzione.
Da ex segretario della CGIL che ne pensa delle ultime decisioni della Camusso del leader dei metalmeccanici Landini? Sembrano intenzionati a scendere in piazza in due date diverse. Non c’è il rischio di creare ulteriori problemi anche agli equilibri interni al Pd?
Siamo in presenza di annunci. Dobbiamo aspettare la formalizzazione e i motivi delle due proteste. Per ora non me la sento di dare un giudizio.