Abbiamo votato per quattro elezioni: il referendum confermativo, sette regioni, centinaia di comuni e due seggi suppletivi al senato.
Le prime due erano quelle più importanti. La partecipazione al voto è stata la sorpresa più grande e significativa, segno di un desiderio di tornare a fare le cose ordinarie e di riprendersi la propria libertà, malgrado pandemia e paure profonde.
Sull’esito del referendum mi limito a qualche considerazione di fondo. La vittoria dei sì è stata netta e conferma il voto espresso dal parlamento. In questo il voto legittima la scelta parlamentare. È evidente ora e anche facile riconoscere che la forsennata campagna per il no è stata esagerata nei toni e infondata nella sua tesi di fondo. Con un paradosso: tutti quelli che hanno criticato la sinistra per la propria scelta di rinchiudersi nelle casematte dei centri storici trascurando le tante periferie del paese hanno poi in concreto finito per fare la stessa scelta oggi. A Roma i no vincono nel centro storico e ai Parioli mentre i sì in tutti gli altri municipi. E la stessa cosa avviene nelle altre grandi città. Questo tema offre se si vuole farlo con serietà un campo di riflessioni particolarmente importante per la sinistra e le forze progressiste sul come riconnettere i propri valori e programmi con i sentimenti presenti in tanta parte del paese e soprattutto nelle aree del disagio, delle difficoltà e del bisogno.
Il voto consegna ora a tutte le forze politiche il compito ineludibile di accompagnare la riduzione dei parlamentari con quelle riforme che possano fare funzionare la rappresentanza parlamentare da subito nella nuova legislatura.
Legge elettorale che non accentui il carattere maggioritario e la soglia implicita di sbarramento, revisione della base regionale del voto del senato, cambiamento nella composizione del collegio che elegge il presidente della repubblica, cambiamento dei regolamenti elettorali. Sarà bene trovare in questi mesi la soluzione a questi problemi coinvolgendo tutte le forze politiche, sperando che non continui questa campagna elettorale permanente delle opposizioni. In caso contrario la maggioranza ha il dovere in parlamento di garantire il completamento del disegno riformatore. Le elezioni regionali sono finite in un pareggio. E già questo è un mezzo miracolo visti i diversi schieramenti in campo. La Puglia rappresenta la sorpresa più grossa e la Toscana va oltre ogni previsione. Tutti i giornali parlano di un risultato che da stabilità al governo e che la spallata non c’è stata. In sostanza vincono Conte e Zingaretti e – aggiungo io – anche le forze minori che hanno fatto con serietà la propria parte. E ha perso Salvini.
Ora proprio questo dato inconfutabile pone il tema di un sovrappiù di capacità e unità delle forze che sono al governo del paese. La pandemia non è vinta e per qualche mese ci farà ballare ancora tra curva dei contagi e numero dei ricoveri. La situazione economica al di là del rimbalzo di questo trimestre resta piena di incognite e non solo per noi come è evidente. I piani per le risorse europee vanno completati con un grado alto di precisione e priorità e coinvolgendo davvero le parti sociali tenute inspiegabilmente ai margini delle scelte. Per fare questo e affrontare una prospettiva così delicata ci vuole un salto di qualità e coesione nell’azione di governo. Il voto da oggi una possibilità più solida di quanto si poteva prevedere. Non coglierla condannerebbe il paese e il futuro della coalizione a un esito modesto che il fronte progressista che fino a oggi ha gestito le difficoltà con buoni risultati finirebbe per pagare per tanto tempo.
Trasformare la coalizione di governo in una alleanza vera di visione del paese rapprenda il minimo che è richiesto dalla situazione e il massimo che responsabilmente occorre fare.